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Alice Sagrati 

1° Classificata Categoria Racconto Breve Giovani

 Concorso Letterario Nazionale Amilcare Solferini 2020

Emma

 

Quello che sto per raccontare inizia con un pensiero e finisce con una storia.

Ieri sera, sul tardi, stavo pensando che quando ero piccolina - per piccolina intendo i tre o i quattro anni-, avevo sempre voglia di rubare le cose, tenerle in mano per qualche secondo e poi rimetterle a posto.

Non so se durante la mia infanzia qualcuno se ne fosse accorto di questa mia tendenza, probabilmente sì.

Certo è, che a quei tempi, ero convinta di essere invisibile durante questi momenti cleptomani e non mi curavo dei rumori o dei danni che producevo.

Allora subito dopo mi sono chiesta chissà quante cose i miei genitori ignoravano apertamente, facendomi credere di essere più furba di loro. Ma soprattutto facendomi credere di essere invisibile.

Perché -diciamocelo- questa cosa dell’invisibilità io mica l’ho mai superata.

Vorrei capire se a voi sembra normale che, ad un certo punto, non si sa nemmeno bene quando, uno deve “crescere”? così, senza preavviso. Ma inventassero una notifica di crescita o qualcosa del genere.

La mia casella di posta è piena di multe, bollette, avvisi di condominio e altre cialtronerie ma la notifica “Cara signorina Alice, siamo spiacenti di comunicarle che il tempo dei giochi è finito e non può più essere invisibile bla bla bla”. Che poi non è che uno la prenderebbe bene, ma almeno per cortesia.

M’immagino questo grande Uomo-Postino, che poi non si sà mai perché se devo pensare a qualcuno al di sopra di tutti i poteri è sempre Uomo. Quindi mi sforzo e faccio che sia una Donna-Postino perché questa retro psicologia che mi avete inculcato insieme alla perdita dell’infanzia io non intendo accettarla. Sto divagando, dicevo.

Una Donna-Postino che ogni giorno decide a quanti bambini-ragazzini finisce l’infanzia e inizia la crescita, un lavoro tremendo, indesiderabile. Comunque sia, prende tutte le notifiche di crescita, le imbusta e le spedisce. Così l’Alice di turno è costretta a leggere e costatare che i giochi sono finiti, ora si diventa adulti.

Che poi subito dopo mi viene spontaneo di chiedermi, “ma da dove si inizia a diventare adulti”? Metto le virgolette come se ci fosse un interlocutore, anche se vuoi o non vuoi sono sempre io. Allora penso che un’altra idea utile potrebbe essere un libretto di istruzioni con scritto dei passaggi, badate bene - IN ORDINE- da seguire, così nessuno si sbaglia, non ci sono rimpianti o rimorsi e stiamo tutti meglio.

Ovviamente per me è ormai tardi perché sono già adulta ma il problema rimane. Perché io non so come comportarmi, anzi ammetto di essere disperata al riguardo.

Così molto spesso mi ritrovo in tutte situazioni più grandi di me e mi sembra di guardarle come un francese guarda un film in inglese con i sottotitoli in francese - irritato- perché dovrebbe essere originariamente girato in francese, ma soprattutto -allibito- perché non dovrebbe esistere un’altra lingua dominante, ma -ovviamente- senza voglia di spiegare tutto questo perché gli sembra così logico e naturale, come mi sembra naturale non saper interagire in situazioni da adulti.

Vi racconto un episodio: ero alla presentazione di questa nuova rivista chiamata “Elegante” che già di per sé per me era incomprensibile e anche un po’ presuntuosa come scelta, ma proprio l’idea che qualcuno si autoproclami Elegante senza che nessuno lo abbia richiesto, ed obblighi anche un certo numero di persone del settore a chiamarli così. Comunque il dramma inizia con il dresscode: Casual, a questo punto preferivo Elegante visto che non so cosa intendiate per Casual, il massimo che posso fare è una traduzione letterale e vestirmi a caso. Così ho fatto: una gonna blu con delle scarpe nere, sopra una maglietta rossa, se passa qualcuno dico che mi hanno ispirato le Avanguardie, ma tanto nessuno me lo chiede, sto zitta, guardo in alto, sorseggio il mio vino. Si avvicina un tizio mi chiede cosa bevo, e con cosa bevi intendono che etichetta che annata che retrogusto fruttato alla mela, io dico bianco, lui se ne va subito dopo, mi siedo in un angolo. Proiettano un power point fatto male, ho dimenticato gli occhiali, non leggo nulla, il microfono va a tratti e quindi l’unica soluzione è chiedere al vicino. Il mio vicino è ovviamente il tizio del vino e dall’altro lato c’è il muro- che comunque sarebbe un interlocutore più interessante- strizzo gli occhi, mi sporgo, do una botta per sbaglio alla signorina davanti, si gira e mi versa del vino addosso, invece di stizzirmi, chiedo scusa, decido di dirigermi verso il bagno. Allora accade tutto in un secondo: all’angolo vicino al bagno c’è un divano e sul divano ci sono due bambine, stanno giocando a nomi cose e città. Una è vestita di viola, marrone, giallo e fucsia; l’altra è tutta di nero con solo il cerchietto rosso, ma ovviamente non importa a nessuno. Sorridono mentre urlano “G” di gatto, no G di “GRANCHIO”, sorridono, hanno fatto 10 punti a testa, non sono minimamente interessate alla presentazione dell’Elegante e mi rendo conto che nemmeno io lo sono mai stata. Allora vado in bagno, mi guardo allo specchio, mi levo la maglietta e la butto nel secchio. Esco divertita dal bagno in reggiseno, tutti mi guardano e io guardo dietro di me e penso “chissà cosa staranno guardando, tanto io sono invisibile”.

Risveglio di una città

 

Le vie toccate

dal vento

i palazzi e odore di caffè,

i lampioni senza luce,

un signore che si ferma,

un altro seduto

con i suoi pensieri.

 

 

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