Premiati
5° Concorso Letterario Nazionale Amilcare Solferini 2020
Premiati
1° Concorso Lingua Piemontese
Gipo Farassino 2020
Alec Gallo
1° Classificata Categoria Racconto Breve Giovani
Concorso Letterario Nazionale Amilcare Solferini 2019
“Solo i bambini sbagliano strada”
Ero cresciuto sentendomi dire che dovevo diventare adulto, che ormai era il momento di trovare la mia strada e seguirla. Avevo già qualche pelo sulla faccia, è vero, ma mi piaceva essere un bambino e andare dove i miei sensi desiderassero in quel momento. Presto, però, capii che l’età non mi permetteva più di essere ciò che avrei voluto. Poco alla volta misi in un angolo quella parte di me e iniziai a maturare. Un giorno, memore dei racconti degli zii, pensai che partire per un cammino sarebbe stato un buon modo per dimostrare a tutti che il bambino, che era rimasto per troppo tempo in me, era finalmente invecchiato.
Ero partito da alcune settimane e ormai Santiago non era più un miraggio. Fin lì non avevo incontrato grandi difficoltà. Nessun errore, sempre responsabile, mai avevo sbagliato strada. Proprio come un vero uomo. A dire la verità non pareva l’impresa eroica raccontata dagli zii una volta tornati a casa: nessun mostro sputafuoco sulla strada da affrontare o principessa da salvare. Tutti vedevano in me, giovane tra i tanti adulti che popolavano il Cammino, un esempio di maturità. “Ce ne fossero di giovani come te” – mi sentivo dire spesso. Quelle parole mi venivano ripetute costantemente, tanto che arrivai a credere che qualcosa fosse cambiato.
Un pomeriggio arrivai in un ostello poco fuori da un anonimo paese galiziano. Un paio di scarpette rosa spiccavano tra le altre appoggiate alla parete. La lunga fila di scarpe testimoniava che erano arrivati già molti pellegrini e i letti migliori dovevano essere già tutti occupati. Mi accontentai di condividere il letto a castello con un signore che avevo già incontrato nei giorni precedenti e speravo di non rivedere più. Effettivamente lui potrebbe essere uno di quei mostri da affrontare lungo il cammino, quelli di cui parlavano gli zii o quelle prove di cui parla Coelho. Anche questa volta avrebbe russato tutta la notte, senza sosta.
Timbrai la credenziale e mi feci la doccia. Mentre il sudore e la fatica scivolavano via dalla mia pelle colpita da getti d’acqua discontinui, pensai ai giorni precedenti e ai passi che mi avevano portato fin lì. Il cielo, i paesaggi, le persone erano cambiati, ma il mio animo era rimasto tale e quale a quello con cui ero partito; mettere un piede davanti all’altro non aveva fatto di me una persona diversa. Eppure la mia famiglia diceva che “quelle sono le esperienze che ti fanno diventare uomo”. Uscii fuori per asciugarmi sotto i raggi del sole. Le scarpette di prima erano ancora là: così piccole e graziose quasi splendevano vicino a tutti quei vecchi e sporchi scarponi.
Il mattino, dopo il sorgere del sole, mi misi in marcia. Camminavo veloce, come se il numero di chilometri percorsi fosse direttamente proporzionale alla mia maturazione. Ruscelli, sentieri, strade, paesaggi intorno a me scorrevano rapidi, non vedevo quasi nulla di quello che mi circondava, guardavo solo avanti. Mi accorsi che il bosco lasciò spazio alla brulla collina solo quando i raggi del sole mi accecarono per un istante e così fui costretto a fermarmi per mettermi il cappello. Con la visuale che si era aperta davanti a me, vidi che poco più avanti c’era una persona. Non ci volle molto per raggiungerla. Camminava piano, si fermava spesso, la sua testa ciondolava da una parte all’altra cercando di scorgere il più possibile intorno a sé. Soavemente portava un piede davanti all’altro e si accorse di me solo quando arrivai abbastanza vicino che per poco non le pestai i piedi. Quella si fermò a lato del sentiero e mi fece passare. A testa bassa salutai distrattamente e continuai a camminare.
Per un po’ non vidi più alcun segno che indicasse il percorso, così tornai indietro. Avevo perso molte ore e il sole si trovava già tanto basso sull’orizzonte che il mio corpo proiettava un’ombra lunga sul terreno. Quando finalmente ritrovai le frecce gialle del Cammino, sentii una voce. Era un suono soave e intenso, quasi angelico. Seguendo il profumo delle parole mi avvicinai e vidi che proveniva dalla stessa persona che avevo incontrato quella mattina e che ora era seduta su una pietra. La donna smise per un attimo di cantare e mi salutò. “Di nuovo” pensai tra me, ritenendo che il saluto della mattina fosse sufficiente, così alzai solo la mano per contraccambiare. Smise di cantare e disse qualcos’altro, poi sorrise, e poi parlò ancora, ma io non riuscii a capire. Le nostre lingue, le nostre culture parevano essere troppo lontane per poterci intendere.
Mentre stavo per rimettermi in marcia, la donna mi disse nella mia lingua: “Solo i bambini sbagliano strada”. Rimasi pietrificato. Quella frase mi colpì, come si permetteva? Prima che potessi pensare cosa rispondere, aggiunse: “Ti stavo aspettando, fermati qui per un po’”. Quando mi voltai, per la prima volta la vidi in faccia: la pelle olivastra spiccava in confronto alla mia, i lineamenti del viso, molto diversi dai miei, indicavano che arrivava da lontano. Un cappellino copriva per metà i capelli bianchi, che non nascondevano le rughe sulla fronte. I suoi occhi verdi mi osservavano sorridenti e intorno a loro dei piccoli solchi erano scavati nella pelle come due fossette. Alle orecchie penzolavano due grandi orecchini a forma di luna. Poco per volta abbassai lo sguardo e velocemente arrivai a guardare la terra senza sapere cosa dire. Tra il giallo del fondo del sentiero e il verde dei fili d’erba spiccava un rosa inconsueto. “Sei tu!” – dissi quasi imbarazzato. Stupito, mi allontanai per vederla meglio, di certo non era la bambina che immaginavo portasse quelle scarpette. Camminammo insieme, fino all’ostello, con passo lento; spesso ci fermavamo e dai suoi occhi vidi più di quanto non avessi visto fin lì con i miei. Arrivammo tardi in paese, lei non era preoccupata per il ritardo, ma cantava, ballava, correva o si fermava per minuti a osservare. I passi che ci separavano da Santiago, li abbiamo colmati allo stesso modo. Molte volte abbiamo sbagliato strada, ma senza mai perderci. Pensare che lei ormai non contava più le volte che aveva percorso il Cammino, ma amava sempre perdersi. C’era una linea sottile su cui abbiamo camminato in quei giorni, un mondo in cui gli opposti venivano a contatto, in cui compresi che c’era spazio per poter esprimere se stessi e dove anche indossare delle
scarpe da bambina per una vecchia era consentito. Sono partito poco più che ragazzo e a casa son tornato con la possibilità di scegliere. Ci vuole talento per sbagliare strada.
Tutti invecchiamo, ma alcuni non diventano adulti.
Risveglio di una città
Le vie toccate
dal vento
i palazzi e odore di caffè,
i lampioni senza luce,
un signore che si ferma,
un altro seduto
con i suoi pensieri.