Premiati
5° Concorso Letterario Nazionale Amilcare Solferini 2020
Premiati
1° Concorso Lingua Piemontese
Gipo Farassino 2020
Fusi Marco
1° Classificata Categoria Racconto Breve
Concorso Letterario Nazionale Amilcare Solferini 2020
Corsi Alessandro
2° Classificata Categoria Racconto Breve Over Concorso Letterario Nazionale Amilcare Solferini 2020
Debernardi Cinzia
3° Classificata Categoria Racconto Breve Over Concorso Letterario Nazionale Amilcare Solferini 20120
Debernardi Cinzia
3° Classificata Categoria Racconto Breve Over Concorso Letterario Nazionale Amilcare Solferini 20120
METTO E IL MULINO
Era spuntato durante la primavera di uno dei tanti anni del diciottesimo secolo. Sua madre , la Grande Quercia del Boschetto di Rodallo , lo aveva chiamato Metto. Non che fosse un nome molto originale per un rametto di quercia ! Metto, rispetto ai suoi tanti fratelli e fratellini, era il più fortunato perché era quello posto più in alto. Era il primo ad accogliere i raggi del sole all’alba; era il primo a salutare Madonna Luna al tramonto quando prende il posto di Messer Sole; era il primo ad accorgersi dell’arrivo della primavera quando l‘aria diventa più tiepida ; era il primo a fremere , nudo senza foglie, sotto i primi fiocchi di neve che Messer Inverno regala copiosi ; era il primo a vestirsi dei mille colori dell’autunno …
Era il primo ma lui si sentiva l’ultimo .
Lo scorrere inarrestabile e monotono delle stagioni lo annoiava . Certo, diventava sempre più lungo e robusto ma a cosa sarebbe servito ? Sarebbe rimasto sempre lì fermo , o al massimo mosso da qualche folata di vento, a guardare le corse degli scoiattoli innamorati , il grufolare del cinghiale alla ricerca di qualche grosso tubero da ingurgitare in men che non si dica, la corsa veloce del topino che cercava di fuggire dalle affilate unghie di Otta la poiana o di Vitto il gufo …
Tutto scorreva inesorabilmente allo stesso modo finchè un giorno un giovane biondino, magro e allampanato, si sedette a gambe incrociate ai piedi della Grande Quercia e tirò fuori dei fogli su cui erano schizzati dei progetti di un mulino. Metto dall’alto, sbirciando fra le foglie dei suoi fratelli, cercando di vedere meglio, cominciò a curvarsi sempre più verso il basso. Sempre di più. Sempre di più. TOC! Metto sentì un dolore lancinante e acuto e cominciò a cadere verso il basso fino a capitombolare su uno degli schizzi del giovane ingegnere che ebbe un sussulto. Metto era finito proprio al posto del davanzale della finestra del mulino. Romualdo , il giovane ingegnere , nel vedere quel rametto esattamente dove Isabelda, la figlia del mugnaio di cui da sempre era innamorato , avrebbe appoggiato i gomiti sbirciando fuori dalla finestra in attesa del suo arrivo, si sciolse in sospiri e sogni ed ebbe la certezza di come sarebbe stato il mulino. Romualdo, felice di aver finalmente capito quale fosse il progetto migliore, partì di gran carriera per andarlo a presentare ai tre ricchi proprietari terrieri che gli avevano commissionato l’opera.
E Metto?
Romualdo lo custodì gelosamente e , si dice, lo abbia poi fatto incastonare proprio nel davanzale del mulino. Da lì Metto, fra polvere di farina, cullato dallo scorrere incessante dell’acqua, fu custode dei sussurri amorosi fra Romuado e Isabelda, ha visto l’incedere di contadini stanchi ma soddisfatti, ha visto il lento declino del lavoro al mulino, ha visto volti, sorrisi, qualche lacrima. Ha avuto caldo ed ha avuto freddo. Ha sperato di essere altrove ed è stato felice di essere dove era.
Dopo trecento anni Metto ora ha una certezza: per essere felici basta semplicemente saper guardare con occhi nuovi quello che ci circonda e non smettere di sognare. Mai!